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18 febbraio 2010 4 18 /02 /febbraio /2010 14:34

L'ASSOCIAZIONE CULTURALE SEBLIE
L'Associazione Culturale SEBLIE nasce dal bisogno dei suoi fondatori di dedicare all'Arte ed alla Cultura un ruolo preponderante nelle loro attività, con la finalità di promuovere eventi culturali ed artistici, realizzati sia dai soci dell'Associazione che da persone esterne ad essa che si rivolgono a SEBLIE in cerca di appoggio per portare a termine le proprie iniziative nel campo della Cultura.
L'Associazione si propone la promozione e la diffusione di iniziative in tutte le discipline artistiche, valorizzando particolarmente quelle più innovative, in sintonia con l'idea che l'arte è fondamentalmente un'espressione intimamente legata al proprio tempo.
Il nome dell'Associazione, SEBLIE, proviene dal Movimento artistico creato dal Presidente dell'Associazione, l'artista Maxs Felinfer. A continuazione vi offriamo un riassunto del significato di questo Movimento:


IL MOVIMENTO SEBLISTA

E' questo il nome che Maxs Felinfer ha dato, negli anni sessanta, al movimento artistico da lui creato e che ha definito, o "disegnato", nei due "Manifesti Seblisti", quello del 1967 e quello del 1975.
Seblismo perché è una parola che non significa niente, che non lega l'arte e il pensiero dell'artista ad alcun elemento conosciuto, già definito, già strutturato. Il Seblismo ridefinisce l'arte, le conferisce nuove libertà, la identifica con l'uomo e il suo ancestrale bisogno di esprimersi, di raccontare e raccontarsi; il Seblismo pone l'arte al servizio dell'uomo, come strumento per comunicare, per esprimersi, per crescere.
Il Seblismo non ha regole, non definisce tecniche, non impone limiti di stile o di genere: libera la creatività, la stimola, la valorizza come elemento iniziatico che fa di ogni essere umano un artista.
Patricia Mònica Vena (Italia) (Scrittrice)

IL GRUPPO SEBLIE
E' una delle espressione dell'Associazione Culturale Seblie, quella che mette in pratica i principi del movimento seblista e lo presenta al pubblico.
Il gruppo lavora sulle sensazioni, esperimentando diverse situazioni, approfondendo la conoscenza delle diverse reazioni a determinati stimoli, per poi realizzare delle performances artistiche nelle quali il pubblico non è un mero spettatore, ma parte integrante dell'evento.
Gli integranti del gruppo Seblie, ognuno nella propria disciplina artistica, ma anche interagendo con quelle degli altri (ci sono musicisti, poeti, fotografi, operatori video, attori, ballerine, pittori), ricercano e ricreano sensazioni, applicandole ai più svariati argomenti.
Non si tratta di un gruppo teatrale, anche se nei loro lavori ci sono momenti recitativi, nè di un gruppo musicale, anche se la musica è una componente importante nelle loro performances.
La principale caratteristica delle performances del gruppo è il coinvolgimento del pubblico, il quale viene sollecitato a vivere in prima persona l'esperienza proposta, riuscendo così a recepire il messaggio in maniera più diretta e "viva".

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13 febbraio 2010 6 13 /02 /febbraio /2010 15:31
OpenL'ARTE OLTRE LA FORMA
di Patricia Monica Vena
In tempi in cui vediamo crollare certezze, spegnersi sogni, tremare strutture che sembravano eternamente solide, forse dovremmo cercare salvezze inedite. E forse dovremmo cercarle non più nei soliti posti. Dovremmo cercarle altrove. Altrove può voler dire tanti posti diversi. Ognuno di noi potrà scegliersene uno. Poi, magari, se quello non funziona, provarne un altro. In queste righe vorrei, semplicemente, segnalarvi uno di quei luoghi: l’Arte. L’arte come salvezza. A me suona bene. Non più l’arte come luogo di ermetici intellettualismi, riservati a gruppi di persone “conoscitrici” della materia, circoli piuttosto ridotti, e piuttosto esclusivi. E neanche come luogo di diletto, di attività per il tempo libero, dedicato a chi, avendo un animo sensibile sceglie di occupare quella parte del suo tempo che non è consacrata al lavoro ed ai doveri, a tentare di scopiazzare la realtà tramite pennelli e colori. L’arte come salvezza è l’arte che funge da tubo di scappamento, da valvola che permette di fuoriuscire la pressione in eccesso evitando così l’esplosione. L’arte come salvezza significa sfruttare una capacità che ogni essere umano possiede per dire, o per URLARE, o al limite per domandare, tutte quelle parole, parolacce e domande che ci si stringono in gola e non escono mai, tante volte perché non hanno nemmeno una forma definita, ma dentro di noi ci sono eccome. “Una capacità che ogni essere umano possiede”. Cosa può voler dire? Mica tutti siamo artisti, direte voi. E invece sì. Almeno quando arte significa linguaggio. Siete d’accordo che chiunque è in grado di rovesciare barattoli di colori, rimescolarli con le mani, o con un pennello, o una spatola, uno straccio, un pettine vecchio o qualsiasi altro oggetto si trovi nei paraggi? Anche se ciò che viene fuori non è un paesaggio, una natura morta, un ritratto, né alcuna immagine riconoscibile? Siete d’accordo che chiunque può cantare, anche se è terribilmente stonato? Siete d’accordo che chiunque è capace di prendere tra le mani un pezzo di argilla e di ammassarlo, schiacciarlo, modellarlo, anche se il risultato non è La Pietà di Michelangelo? Bene, se avete risposto SI a tutte le domande, allora state accettando che ogni essere umano è in grado di esprimersi attraverso i mezzi descritti. E quindi sta utilizzando un linguaggio. Arte. Se riusciamo davvero a tornare a riprenderci la libertà di fare quelle cose (che da bambini facevamo allegramente) troveremo una via di sfogo per molte delle piccole e grandi frustrazioni che ogni giorno ci provocano un nodo in gola e un buco nello stomaco. E soprattutto, impareremo a comunicare con gli altri in un modo nuovo, e forse riusciremo a capirci di più. Quando le parole che si dicono ogni giorno, a casa, al lavoro, a scuola, dal macellaio, dal panettiere, in TV, nei giornali, non significano più niente e non ci bastano più per dire tutto quel che ci succede dentro, è ora di cercare linguaggi nuovi.
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28 gennaio 2010 4 28 /01 /gennaio /2010 19:21
24 gennaio 2010 - Auditorium Ceccato di Salò
NON CE NE SIAMO ANDATI - Poesia di Patricia Vena tratta dal libro "Nostalgie" e inclusa nello spettacolo "EL TAN(G)O". L'attore Luca Violini ha dato una voce straordinaria alla poesia, mentre i "mostri" del bandoneon e la chitarra, Mario Stefano Pietrodarchi e Luca Lucini, hanno tenuto in silenzio reverenziale una sala gremita con 500 persone. I ballerini Alejandro Angelica e Talj Gon, con la loro danza, hanno offerto agli occhi degli spettatori la completezza del tango nella sua più alta espressione.
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15 gennaio 2010 5 15 /01 /gennaio /2010 10:29

Carissimi organizzatori,    

ho ricevuto il vostro ultimo messaggio del 14 -1 ore19,47

grande successo  della mostra premioterna al tempio di Adriano.

Ma ne siete proprio convinti? Siete in buona fede?Mi sono divertita a intervistare molti visitatori,il loro commento favorevole ve lo riporto integralmente”L’unica cosa positiva di questa mostra è che non abbiamo pagato il biglietto e che ci siamo resi conto che questa è una pseudo arte che ci ha fatto perdere  tempo,sarebbe stato meglio passeggiare tra le bellezze dell’antica Roma,ma con quale denaro è stata finanziata’?Perché non usare il denaro per scopi più nobili?”

Le stesse ragazze guida della mostra hanno confermato che il popolo ha reagito in modo negativo.Non mi si venga a dire che  ci fu la stessa reazione negativa quando ci fu la prima mostra dell’impressionismo,è assurdo.

La vostra mostra mi ha ricordato la storiella del re nudo,che mia madre mi raccontava quando ero piccolina.La conoscete?Il re e i cortigiani facevano finta di non accorgersi che il re fosse nudo e lo acclamavano a gran voce,poi il popolo aprì gli occhi solo quando un bimbo con  la sua innocenza esclamò”Ma il re è nudo!”

Quando,qualche anno fa, chiesi al prof. di storia dell’arte Luigi Grassi che cosa ne pensasse dell’arte sì fatta,rispose che le gallerie non potevano rinnegare ciò che avevano creato perché ci avrebbero rimesso. Allora non dobbiamo fare altro che aspettare che qualche bimbo dica :”Ma l’arte è nuda!”come l’opera di Paolo Geoli” Torso”.4179

I visitatori hanno  considerato degni di rispetto  solo alcuni lavori digitali,quindi tecnici, ma allora perché non fare mostre distinte?

                  Cordialmente

                                     Iginia Bianchi

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15 settembre 2009 2 15 /09 /settembre /2009 11:09
Poiché ho conosciuto Maxs Felinfer negli anni '80, quando erano già passati circa vent'anni dalla nascita del Seblismo, in un mio recente incontro con lo scrittore Héctor Paruzzo, in Argentina, gli ho chiesto, visto che lui era stato uno dei primi ad adottare quell'idea, di raccontarmi alcuni aneddoti dei tempi in cui il movimento era appena cominciato. Paruzzo mi promise di inviarmi un e-mail con alcuni suoi ricordi. Riporto qui una sintesi della sua lettera: ............... P.Vena Lettera Héctor Roberto Paruzzo Il Seblismo nasce come un'opposizione al fondamentalismo nell'arte. In effetti, esiste, come in tanti altri campi, un fondamentalismo scolastico nell'arte. Maxs Felinfer ed io ci siamo scontrati con esso quando abbiamo pubblicato il mio libro "Maxs Felinfer: La sua tematica pittorica", Rosario 1983, e quello suo, con la mia collaborazione letteraria, "Seblie, un linguaggio", Rosario 1984. Credo sia stato Gabriel García Márquez che ha detto una volta che "uno scrive per essere amato". Bene, nel mio caso, invece, dopo la pubblicazione dei libri appena menzionati, molti mi ritirarono il saluto. Abbiamo scoperto, allora, che avevamo messo il "dito nella piaga". Una studentessa di Belle Arti mi disse, perfino, che alla Facoltà le avevano vietato di leggere il mio libro. Al che io risposi che avrei preferito che lei mi dicesse che il libro era solo spazzatura, dopo averlo letto, però, anziché quell'obbedienza assoluta ad un autoritarismo accademico. Anche da altri settori arrivarono attacchi e critiche in mala fede. Ad esempio, molti pittori, per attaccare Felinfer, mi chiedevano come mai, col mio livello letterario, avevo scritto qualcosa del genere su un "imbianchino" che faceva solo scarabocchi. A sua volta, certi scrittori chiedevano a Maxs come mai un artista con un percorso internazionale come lui aveva a che fare con uno pseudo-scrittore qualunquista. Così abbiamo capito che il dogmatismo scolastico in belle arti era molto più grave di quanto credevamo. Fortunatamente qualcosa sta cambiando e oggi c'è una nuova generazione di artisti che hanno adottato, nella realizzazione delle loro opere, le idee di Felinfer."
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15 settembre 2009 2 15 /09 /settembre /2009 11:03
Magari molti non li ricordano, Maxs e Patricia, ma forse qualcuno rammenterà un bel momento di poesia, al cui compimento concorsero un gruppo di bravi attori e un grafico, pittore, poeta nell’anima che fece da regista e da scenografo e, con una semplice seggiola impagliata e un raggio di luce, ci fece dimenticare i nostri poveri mezzi d’ospitalità. Passando in questi giorni di maggio davanti alla nuova sede della libreria “Rinascita”, salta agli occhi il manifesto di una mostra di pittura: l’artista è proprio lui, Maxs Felinfer; titolo della mostra “Navi come uomini”. Sono passati più di dieci anni da quando ci siamo conosciuti e non posso fare a meno di sentirmi incuriosita. Entro e resto attonita di fronte al cambiamento: navi incagliate, arrugginite, bloccate nella sabbia, fra gli scogli, tutte, indistintamente, con la prua rivolta verso di me, come dita di giudice. Non si può fare a meno di spostare l’attenzione fuori dal quadro e domandarsi cosa ci sia mai qui, nel punto in cui mi trovo, capace di irretire, di pietrificare. Maxs mi riconosce, mi saluta, mi chiede che ne penso ed io quasi con supplica: “Maxs! Non portano più da nessuna parte queste navi...” lui mi risponde: “Già...” ma sorride. Mi saluta con un invito per il sabato successivo: la presentazione dell’ultimo libro di sua moglie Patricia, “Nostalgias”. Rispondo con un “Grazie” ma so già che ci andrò: c’è qualcosa che chiama in quella mostra, ci sono delle domande che esigono risposta, c’è un vuoto al centro di quel circolo di prue che stuzzica tutta la mia curiosità. La presentazione è ben condotta: entusiaste e coinvolte le relatrici, bravi gli attori e seducenti le musiche di Piazzolla. Patricia, assolutamente disarmante: schietta e semplice nel suo porsi del tutto naturale in un argomento che è stato degli immortali della letteratura come di tutte le forme d’arte. Perché la nostalgia, in tutte le sue sfumature (di ciò che si è perso, di ciò che non si è mai avuto, delle cose e delle persone lasciate e di quelle che ci hanno lasciato, di quello che siamo stati e di quello che avremmo potuto essere) è un motore, come lo sono tutti i sentimenti: l’entusiasmo, la passione, l’amore, la fede. E, come tutte le emozioni, è patrimonio comune a molti uomini: chi sente di poter far suonare una corda del proprio animo la lascia vibrare in attesa che qualcuno si sintonizzi con essa. È quello che è capitato alle Nostalgie di Patricia: un libro nato con intento catartico che diventa consolazione per chi legge, come trovare un volto amico fra gli sconosciuti. Il libro, strutturato nella forma tripartita narrativa, epistolare e poetica, è l’analisi delle più sottili sfumature che può assumere il sentimento di chi compie la scelta di lasciare la patria, gli affetti, il proprio modo di essere, la propria realizzazione personale, ma è anche la storia di chi, attraverso quel sentimento, capisce più in profondità chi è, conosce la nostalgia come caratteristica del proprio essere e supera il dolore. È la storia di un amore che cresce in proporzione geometrica: due patrie, due culture, due modi d’essere. Sentire l’amore che si sposta dal dolore di una perdita a una tenerezza, a un affetto, a un’appartenenza nuovi è un messaggio di grande speranza. Sembra impossibile, a posteriori, constatare che una coppia così affiatata raggiunga sintesi artistiche tanto distanti nel contenuto: l’angoscia di quelle navi rende ancora più dolce la nostalgia di quelle poesie. Così come dieci anni fa era sorprendente osservare l’ammirazione nello sguardo e nell’atteggiamento silenzioso di Patricia nei confronti del lavoro del marito, così ora è commovente vedere la dedizione di Maxs nel curare i particolari della riuscita della presentazione di questo libro, sempre con quel sorriso meravigliato e un po’ naïf, tanto che viene da pensare che non può esservi disperazione nei suoi dipinti. E chissà, forse quelle prue non sono dei giudici, ma solo uomini che per un istante hanno fermato il loro cammino e si sono raccolti in cerchio per ascoltare chi cerca un contatto più umano, per ascoltare se stessi, nel profondo delle proprie emozioni, per guardarsi in viso, l’un l’altro. Anna Cecilia Poletti
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15 settembre 2009 2 15 /09 /settembre /2009 10:59

Il libro di Patricia Monica Vena si divide in tre parti: nella prima racconta la propria vita. Una vita costellata di grandi cambiamenti che inducono l'autrice a fare delle scelte che si riveleranno definitive e radicali, ma non sufficientemente incisive per forgiare un nuovo carattere.
Tredici anni fa insieme al compagno della sua vita decide di lasciare l'Argentina alla volta dell'Italia.
L'Italia per Patricia si rivela una grossa illusione: da un lato ella riscopre il Bel Paese raccontato dai suoi avi, emigrati a loro volta dalla Sicilia, dall'altro emergono le grandi contraddizioni tra le due realtà, quella italiana, vista come il mondo materialista, svuotato per la maggior parte dai valori umani e quella argentina che l'autrice ama definire da terzo mondo, ma in realtà colma di valori umani che, come si sa, abbondano sempre nelle realtà dove sono state presenti oppressioni e sofferenze.
Purtroppo questo dimostra che l'uomo deve essere povero fuori per risultare ricco dentro e, fin tanto che egli non comprenderà il modo come utilizzare correttamente la ricchezza materiale, avremo sempre degli uomini ricchi fuori e poveri dentro e viceversa.
Da queste contrapposizioni affiora una forte personalità complessa e indubbiamente inquieta, capace di modificare le cose secondo la propria volontà, ma è proprio questa peculiarità a creare in lei nuove tensioni nell'animo rendendolo inevitabilmente e consapevolmente irruento, come un mare ora mosso ora agitato.
La seconda parte in versi e la terza in forma epistolare ripercorrono lo stesso cammino, ma con sfumature diverse, con nuove angolature che alternano luci ed ombre talvolta dense tal'altra fievoli, alla ricerca di una identità tutta da definire.
Scegliere di leggere le esperienze di Patricia Vena è sicuramente utile a tutti coloro che sono alla ricerca di emozioni forti e di se stessi. Il viaggio introspettivo è un passaggio obbligatorio per comprendere le cose di questo mondo.

Giovanni Campisi

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15 settembre 2009 2 15 /09 /settembre /2009 10:22
Settembre inoltrato del primo anno di questo XXI° secolo. L'autunno è arrivato presto quest'anno. L'autunno qui è dolce, ha dei colori quasi irreali. Marrone, ocra, rossi e gialli creano delle atmosfere uniche. Prima di cadere, le foglie ci fanno vedere tutto ciò che sanno fare, ci regalano il loro caleidoscopio gigante. L'autunno qui non è triste, è pieno di promesse: le notti accanto al camino, le camminate nel bosco, a raccogliere castagne e funghi, qualche bella nevicata che modifichi il paesaggio tanto da farci sentire in un altro mondo per qualche giorno. L'odore della legna comincia a invadere le stradine del paese. Cominciamo a tirare fuori i vestiti più pesanti. E' bello mettere il primo maglione della stagione e sentire di nuovo il tepore della lana. Quest'anno, però, l'autunno ci ha portato la guerra, e tutto mi sembra diverso, e io non riesco a capire come si possa continuare la vita di tutti i giorni essendoci questo dramma dietro l'angolo. Il mondo, meglio, i governi del mondo, non sono in grado di sentire quest'autunno. Sono diventati sordi e ciechi. O forse lo sono sempre stati... Mi fa paura questa cecità generalizzata, mi fa paura l'indifferenza. Mi fa rabbia la manipolazione dei sentimenti delle persone e dell'informazione, l'acutizzazione del razzismo, la sordità dei "grandi" e l'incapacità dei "piccoli" di farsi sentire. Parlano di "guerra santa". Siamo piombati in un nuovo medioevo. Le crociate programmate al computer. Riccardo Cuor di Leone ha attraversato l'oceano, porta una bandiera a stelle e strisce. Due torri del suo castello sono state abbattute dagli infedeli e adesso tutto il regno è pronto a combattere per punire i responsabili. Dicono che il mondo non sarà più lo stesso. E' vero, sarà più brutto, la guerra riesce ad abbruttire ogni cosa, perfino l'autunno. Patricia Vena
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15 settembre 2009 2 15 /09 /settembre /2009 10:19
Con un salto temporale di vent'anni Maxs Felinfer ripropone, con una nuova traduzione, il suo "Trattato sul Seblismo". Seblie è un linguaggio. Seblie è una parola che non ha significato, non è un'etichetta che possa rendere riconoscibile un prodotto, è una parola che richiede, a chi sia interessato, un impegno: quello di distaccarsi dalle regole dell'arte accademica, dalle idee preconcette, per sondare la propria innata capacità di relazionarsi con l'oggetto della propria percezione sensoria e della sensazione che essa scaturisce. La sensazione è lo strumento creativo che Maxs Felinfer propone di usare per farsi consapevoli e artefici della propria arte. La sensazione è intesa come la reazione creativa dell'uomo agli oggetti della propria percezione, una reazione capace di innescare il processo di messa a punto dei termini di un linguaggio personale d'espressione. L'uomo è alla continua ricerca di un linguaggio che lo distingua; allo stesso tempo teme di sbagliare, di contraddire le regole scritte e immutabili della cultura dominante. L'uomo è tra due fuochi: quello del desiderio della libera espressione e quello dell'errore. La normatività di un linguaggio non lo rende più giusto di altri, esso è un punto di vista, una finestra da cui guardare il mondo. Senza ricorrere a concetti relativistici, che spaventano tanto, possiamo affermare che ogni linguaggio può raggiungere un certo grado di normatività, avere delle regole, ma per essere utilizzato da un essere così poco logico com'è l'uomo, deve essere dotato di duttilità, deve poter essere maneggiato e modificato, deve poter essere riconosciuto per la sua qualità in divenire. Non ci si può trincerare dietro la regola per rifiutare un tentativo umano di trovare l'espressione più idonea, non giusta, per costruire un ponte tra sé e gli altri, perché si rischia di sprofondare nel dogmatismo. E il dogmatismo poco ha a che vedere con la comunicazione umana e con l'arte; l'utilità delle regole risiede nel fatto che esse possono aiutare a ricostruire il significato dell'espressione artistica, perché hanno un che di collaudato, di formalmente riconosciuto, di sintetico, ma non possono limitare in via definitiva il potenziale di significato che si sprigiona da una lettura alternativa, che poggia su regole diverse. Il potere della comunicazione non sta tanto in ciò che siamo in grado di prevedere in base a un sapere consolidato, ma nella creazione di nuovi significati, nella novità. Il piacere che si prova nella lettura del testo di Maxs affiora nel momento in cui egli invita il lettore ad accompagnarlo nel percorso di scoperta del codice. Un percorso raccontato con l'enfasi di chi sembra ancora stupito dalla magia con cui è giunto ad una scoperta; una scoperta che può essere esperita da tutti grazie anche ai diversi giochi disseminati per tutto il testo, giochi che ti fan venire la voglia di tentare, di mettere alla prova il tuo nano creatore. Roberta Lucianetti
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26 luglio 2009 7 26 /07 /luglio /2009 19:28
Le serie parallele Dipingo "Serie parallele" che no rispondono a una progressione dello stesso soggetto ma che si evolvono in modo indipendente, e fanno riferimento a sensazioni interiori rappresentate da aspetti "linguistici" differenti. Sono contemporanee ed evocano aspetti esistenziali e formali diversi. Questo viene di solito segnalato dagli eruditi come "mancanza di rispetto nei confronti dello stile". Devo sinceramente dire che, dopo 50 anni dedicati alla pittura, da studente, da pittore e da docente d'arte, non sono interessato ad ascoltare queste banalità, provenienti dalla cattedra della superficialità e della mercificazione dell'arte. Quali sono i requisiti per fare sì che un pittore venga accettato dalla critica, dai galleristi, insomma dal mercato dell'arte? Mi permetto di ridurre lo spettro di valutazione al commercio perchè di questo si tratta e perchè c'è, al riguardo, una omertà complice fra quelli che ottengono benefici da tale sistema, indegno di essere collegato all'arte. Tutti vogliono dare un altro nome alle valutazioni e pregi che regolano la qualità di un'opera d'arte, ma in realtà, si tratta di accordi clientelari, di conoscenze interpersonali o di scambi di favori di natura tutt'altro che artistica. Per questo motivo, e nella consapevolezza di cosa comporta questa mia posizione di fronte alla mafia colta del mondo dell'arte, dichiaro ancora una volta, come feci già nel 1967e nel 1984, "L'arte è semplicemente un'espressione dell'uomo. Altre pretese sono solo vanità". Del mondo dell'espressione artistica dell'essere umano, voi, signori proprietari del mercato dell'arte, non riuscirete mai a fare parte, non ne avete le qualità.
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