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24 luglio 2009 5 24 /07 /luglio /2009 12:22
Far parlare Felinfer e Lacan è un'impresa possibile. Quando Lacan e i milleriani parlano dell'estrazione di nuovi significanti dal reale, di spingere i limiti, forzare l'impossibilità a dirsi, dialogano da soli col discorso seblista che intende arrivare ai limiti dell'irrazionale, tutto ciò che fuoriesce dall'impossibile a dirsi. L'inconscio è una catena di significanti, che, dice Freud, in un'altra scena, si ripete ed insiste per interferire nei tagli che gli offre il discorso e il pensiero. "…rispondere alla questione: Chi parla? quando si tratta del soggetto dell'inconscio. Giacché questa risposta non potrebbe venire da lui, visto che non sa quel che dice, e nemmeno che parla, come tutta l'esperienza dell'analisi ci insegna." (Lacan, Écrits, 1966, Einaudi, Torino, pag. 803). Freud ha scoperto una logica nell'inconscio con suoi meccanismi di funzionamento (Psicopatologia della vita quotidiana, L'interpretazione dei sogni, Il motto di spirito nei suoi rapporti con l'inconscio). Lacan usa la linguistica e gli altri linguaggi del suo tempo per leggere Freud, per portare la psicoanalisi alle sue estreme conseguenze, del 'ben dire', del voler dire. L'inconscio è strutturato come un linguaggio e per le mani dei pazienti di Freud, e non solo, Lacan ci accompagna a visitare i suoi giardini alla francese, i rebus dei sintomi si sciolgono davanti ai nostri occhi, anche se, ahimé, l'altro è barrato, non sa, è mancante, così, sebbene le catene dei significanti si possano svelare, ciò che è veramente importante, quello che davvero conta, l'Altro non lo sa. Triste verità che spinge al pianto, a lungo, a volte per sempre, se non viene la sorte o la psicoanalisi a ordinare i significanti e a disordinare le agende, le fedi, gli amori, le abitudini, la vita. Ma Lacan lo dice con chiarezza: l'artista dice prima dello psicoanalista. Schnitzler precede Freud, Margherite Duras insegna a Lacan, che si mette in posizione di umiltà nel cercare di apprendere da lei e da altri scrittori, come Joyce e Carroll. Maxs Felinfer auspica e rivendica il diritto ad un linguaggio senza simboli prestabiliti, nel primo manifesto seblista, scritto nel 1967 e pubblicato nel 1969. Lacan opta per una pratica in cui lo psicoanalista opera facendosi oggetto dell'analizzante, quindi non è certo un sapere prefabbricato a guidare una cura. Felinfer difende il diritto di usare un linguaggio proprio, erano gli anni dei movimenti pacifisti, i giovani credevano in un altro mondo possibile e cercavano di renderlo reale. Quello era il tempo delle comuni, ora è il tempo delle monadi. Oggi occorre che le istituzioni si occupino della prevenzione del disagio psichico. Ora, è ovvio che un lavoro del genere non è quello della psicoanalisi, pura, ma è forse proprio in questo campo, della psicoanalisi applicata, che l'arte e la psicoanalisi possono incontrarsi, come nel campo più squisitamente teorico, sul banco dell'estrazione di significanti nuovi dal reale… Nel 1969 Lacan tiene un seminario "Il rovescio della psicoanalisi". "…Lacan aveva superato in questo seminario, la prova del vecchio che si rivolge alla gioventù, e che non vi si trovava né il tono di ammonimento di un capo, né il richiamo alla saggezza e neppure l'odio verso il godimento che si trova a volte nei vecchi." (J.-A. Miller, "La psicoanalisi messa a nudo dal suo celibe", postfazione al Seminario. Libro XVII. Il rovescio della psicoanalisi 1969-70, Einaudi, Torino, 2001, p. 269). La psicoanalisi rovesciata, spellata, scorticata, ridotta all'osso. Questo accade nel seminario; poi Hegel, Wittgenstein, Platone e Aristotele, anche Freud, tutti a nudo. Sei anni dopo viene pubblicato Televisione in cui Lacan dice che ci sono due versanti offerti dalla struttura, cioè il linguaggio. Il versante del senso, che si riduce al non senso. E il buon senso, considerato il senso comune. Quello che Freud chiama "processo primario nell'inconscio (…) non è qualcosa che si cifra, ma che si decifra. Dico: il godimento stesso. Che in tale caso non costituisce energia, e non si può scrivere come tale." (Televisione, p. 80) Le catene che l'analisi traccia sull'inconscio non sono di senso, ma di godi-senso, jouis-sens. E lo sciogliersi delle suddette catene ha contribuito a ridire che la tristezza non è uno stato d'anima, ma una pecca morale. Anche se Dante sembra ignorare perché è felice. Uno sguardo. Quello di Beatrice, palpebre e cascame, tre volte niente ed ecco sorto l'Altro, lo chiama Lacan, l'impossibile e l'insoddisfabile. Al che, se non altro, noia. Il che forse non è poco, nel non-tutto, è l'unico. Cioè Dante proietta Beatrice nell'immaginario con una dimensione totale, lei è perfetta in quanto impossibile, non avrà mai modo di scontrarsi con la sua realtà di donna, non scoprirà mai che lei è uguale alle altre donne, agli altri uomini, cioè non sa, non è tutta, non arriva a coprire la mancanza dell'Altro. Con la scappatoia del desiderio impossibile Dante inventa un Altro totale, completato dalla sostanza immaginaria del cascame dello sguardo di lei. La grandezza di Lacan secondo me sta nell'aver matematizzato la struttura dell'Altro, e dell'inconscio, come una struttura bucata, come nelle formule di fisica dove tutto riporta a meno di una costante, k, inconoscibile. Il sapere è necessariamente mancante, è auspicabilmente mancante. Altrimenti non c'è lo spazio per il soggetto. Questa idea dell'incompletezza, come la troviamo nel seblismo, appartiene ad ogni creatore, al di là dei simboli scoperti e di ogni reinterpretazione che li ricomponga in un nuovo sistema, poiché la scoperta di questi simboli non è fine a se stessa, ma ad ottenere una meccanica di riconoscimento dell'intera cosmografia delle sensazioni. E' l'angoscia a promuovere questa ricerca, è il motore che spinge gli individui alla creazione permanente di se stessi; attraverso le manifestazioni esterne l'artista comunica i suoi contenuti inconsci. Questo meccanismo comunemente si ritiene esclusivo patrimonio dell'artista, quando in realtà è la stessa dinamica che sta alla base e lungo il tragitto della formazione soggettiva di ogni uomo. Poiché non c'è tutto, verità e sapere non sono complementari. Sapere e verità si compatiscono, soffrono insieme, tutto qua. E' quello che afferma Felinfer quando dice che la comunicazione (espressione) e la formazione (scuola) sembrano ostinatamente prendere direzioni opposte. Queste problematiche compassioni si mostrano nell'arte con chiarezza. Felinfer ha, oltre l'esigenza di sprecare vernice, "l'urgenza di procreare un uomo sensibile, disponibile alla vita e maturo per…" per cosa? "per nominare dalla sua propria ottica questo universo nuovo". Lacan lo direbbe col gay sçavoir, gaio sapere, e la verità dipende dal reale. Felinfer cercava di risolvere il problema di un insegnamento accademico disumanizzato, che non teneva conto delle particolarità degli allievi, non permetteva loro di sviluppare il potenziale creativo, ma al contrario lo schiacciava in nome di regole scolastiche. In cambio della via della creatività l'allievo veniva introdotto in un campo sistematico di comprensione e razionalità. "In questo modo, il possibile godimento che produce l'esperienza della scoperta, rimaneva eclissato da un ordine che, imparentato con l'effetto finale, appariva convenientemente accettabile e altamente credibile. (…) Le convenzioni (formule fisse per fare ogni cosa) portano l'allievo a sperimentare, nel conseguimento dell'obiettivo, una soddisfazione facilmente confondibile con quella derivante dal realizzare la propria scoperta. La differenza risiederà nella mancanza di libertà nella scelta del proprio linguaggio." (Seblie, un linguaggio, p. 110-111). La questione è simile a quella che spinge Lacan al 'ritorno a Freud' in quanto molti post-freudiani si erano allontanati dallo spirito clinico di Freud. In particolare la psicoanalisi dell'io, che tanto seguito ha avuto soprattutto negli Stati Uniti, ha introdotto un valore stabile, un campione di misura del reale: l'ego autonomo, una zona libera da conflitti, non-conflictual sphere. Un 'logoro miraggio' lo definisce Lacan e accusa la psicoanalisi dell'io di diventare un'ortopedia del desiderio. "…l'uomo non può mirare ad essere intero (alla , altra premessa in cui la psicoterapia moderna devia) dal momento che il gioco di spostamento e condensazione cui è votato nell'esercizio delle sue funzioni, segna la sua relazione di soggetto col significante" (Lacan, 'La significazione del fallo', in Écrits). Nell'elaborazione lacaniana il nucleo dell'io è paranoico, per cui non c'è un approdo possibile, una risoluzione unica universale, anzi è proprio nelle fratture, nell'imperfezione dell'io che risiede l'origine della spinta alla ricerca, che è quanto di più umano l'uomo conosca di se stesso. " Dopotutto un sogno è solo un sogno. Coloro che oggi ne disdegnano lo strumento per l'analisi hanno trovato, come abbiamo visto, strade più sicure e più dirette per ricondurre il paziente ai buoni principi e ai desideri normali, quelli che soddisfano a veri bisogni. Quali? Ma i bisogni di tutti, amico mio. Se questo ti fa paura, fidati del tuo psicoanalista, e sali sulla tour Eiffel per vedere com'è bella Parigi. Peccato che certi saltino il parapetto fin dal primo piano, e per l'appunto fra quelli i cui bisogni sono stati tutti ricondotti alla loro giusta misura. Reazione terapeutica negativa, diremmo noi. Grazie a Dio il rifiuto non va così lontano in tutti. Semplicemente, il sintomo rispunta come erba matta, compulsione di ripetizione. Ma naturalmente si tratta solo di un equivoco: non si guarisce perché ci si rimembra. Ci si rimembra perché si guarisce. Trovata questa formula, la riproduzione dei sintomi non è più una questione, ma solo la riproduzione degli analisti, quella dei pazienti è risolta." (Lacan, "La direzione della cura", in Scritti, Einaudi, Torino, p. 620). Il discorso dell'Altro è in breve il discorso del padrone, la logica del servo-padrone di Hegel. Nello schema elle di Lacan, si vede chiaramente quello che è il nocciolo duro del discorso sulla pratica e sull'etica, nonché della protesta di Maxs Felinfer. Se rimaniamo sull'asse immaginario, quello che il Dottor Baio chiama l'autostrada duale, non possiamo che sottometterci alla logica del padrone, se invece ci spostiamo da quel posto, lasciamo all'altro la possibilità di emergere come soggetto barrato, mancante, diviso, desiderante, emotivo direbbe Maxs. La magia è solo questo spostamento in cui si dà al soggetto uno spazio per emergere e a sé stessi una possibilità in più di estrarre nuovi significanti dal reale. Estrazione per la psicoanalisi, creazione per l'arte, innegabile la parte estrattiva dell'arte, parte che ha grande interesse per la dolce filantropia del seblismo, che dell'arte esalta la sua capacità di sensibilizzazione e quindi la potenza di migliorare l'uomo. Nella partecipazione razionale ad una performance, un evento dai propositi estetico-informativi, si riceve un'informazione che si diluisce nel ricordo. L'individuo che non vive in prima persona l'esperienza è come il paziente dello psicoanalista che riceve un' interpretazione sulle sue resistenze, nel momento in cui, preso dall'impotenza, il terapeuta tenta l'aggancio con la parte sana dell'io, ossia quella che pensa come lui. Con il lavoro sulle performance si cerca di trasmettere contenuti sensitivi che coinvolgano emotivamente il destinatario del messaggio, facendogli rivivere vissuti propri che arricchiscano l'ambito magico così prodotto. Gli aspetti formali che caratterizzano la preparazione del gruppo e con esso la piattaforma sulla quale costruire una performance sono basati sul potenziale sensitivo dell'individuo. "Una performance è un flash forward in cui uno squarcio del passato, un racconto immagazzinato nella memoria emotiva dell'individuo, o di un gruppo, popolo o etnia, viene proiettato in avanti con l'obiettivo di rivivere in modo sensibile alcuni aspetti ormai sepolti o mai visti nella piena potenzialità dell'evento. Nella grande maggioranza dei casi, come richiesto dall'ordine sociale dello stagno, viene archiviato come fascicolo di una pratica burocratica, nei meandri scuri della ragione sistematica." (Maxs Felinfer, scritto inedito). Il flash-forward è un po' il fenomeno dell'aprés-coup, di cui parla Lacan, cioè è solo in seguito al secondo evento che scegliamo quell'immagine e l'agganciamo a quel fatto. Ed è allora che il primo significante ci appare magicamente come una profezia. Avete presente quando dopo il fatto delle torri gemelle, si ha come l'impressione di averlo pre-visto? E' una sensazione che abbiamo provato un po' tutti, alcuni folli certificati sono stati male per mesi, alcuni finivano per darsene la colpa, visto che lo sapevano con tale chiarezza, non potevano che essere nel complotto; pensate cosa proverebbe Tolkien! L'evento produce immediatamente uno spostamento della costruzione della realtà in direzione di quelle modifiche. Cioè, si tratta di un fenomeno in divenire e contemporaneamente retroattivo, cioè va sia verso il futuro che verso il passato. Questo meccanismo viene messo in atto dal gruppo dei performers e deve essere supportato da una preparazione tale che loro stessi, per primi, entrino in contatto con gli aspetti essenziali dell'evento che si vuole comunicare. Contatto che non può limitarsi alla semplice comprensione intellettuale, per quanto ricca sia l'analisi storica degli eventi da comunicare, perché svuoterebbe la gestualità dei performers dei sentimenti che il pubblico a sua volta dovrà percepire in modo sensibile, oltre a capire, e lo costringerebbe a una lettura superficiale del contenuto. Per questo motivo gli esercizi, che costituiscono questa preparazione e che il gruppo segue durante il lavoro di allestimento di una performance, vengono adattati agli aspetti sensoriali ed emotivi, intimamente legati al tema dell'evento da conoscere e poi da trasmettere. Sebbene sia certo che questi schemi preparatori appartengano a gruppi ben definiti nei loro propositi, vengono ogni volta rimodellati secondo le esigenze tematiche, ambientali, culturali ecc. Questi esercizi non vengono proposti solo nell'ambito preparatorio di una performance, ma sono un'amalgama che integra le forze polivalenti dell'essere gruppo. Ora, al termine del parallelo, si potrebbe obiettare ad esempio che l'arte e la psicoanalisi vanno in direzioni diverse, l'una costruisce ponti mentre l'altra semplicemente attraversa il fiume. Ma chi non vorrebbe costruirsene uno tutto suo? L'arte è per tutti, Felinfer lavora perché lo diventi, ci guadagnerebbero tutti, anche chi il ponte ce l'ha già.
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1 luglio 2009 3 01 /07 /luglio /2009 17:16
IGINIA BIANCHI
Mi piacerebbe aprire un dibattito sulle pseudo-opere ottenute facendo finta di dipingere su tele stampate in copisteria o con il computer. 
I plagi sono molto diffusi,ho notato che molte gallerie espongono quadri copie,nell’ultima mostra,che ho visitato,le tele erano tutte dipinte e disegnate con il computer,sono rimasta sconcertata perché c’era anche un ritratto di un bagnante,che era l’esatta copia di una foto di Gabriele d’Annunzio(prezzo 2000 euro).
Lei apra un dibattito per salvare l’umanità da questi brogli,ho scritto anche a “Striscia la notizia”, ma non sono ascoltata,lei solo lo può fare perché è un vero artista.Lei crea come ai vecchi tempi,quindi sono convinta che farà qualcosa
Cordialmente Iginia Bianchi

IGINIA BIANCHI 2° contributo
Caro Maxs, quando per caso mi sono imbattuta nelle tue opere(tutte),non avevo ancora letto le recensioni osannanti sulla tua arte né i dibattiti, ma ho pensato subito a Kant ,esattamente al suo giudizio estetico,che fa parte della Critica del giudizio: Le tue opere sono l’espressione reale dei concetti espressi dal filosofo.
l’arte deve rappresentare il sublime ,che è la simbiosi tra il bello e il grottesco o l’orrido: Concetto che io ho sempre condiviso, ho sempre preferito un cielo burrascoso a un azzurro chiaro, rami contorti e piegati dal vento che a un paesaggio pastorale.
L’arte di Maxs è sublime perché trasmette tutto ciò,i colori sono l’eternità e l’infinito, gli “scarti”che usa rappresentano la realtà della vita, il dolore ,il senso di soffocazione della tecnologia moderna,che ci dovrebbe salvare dalla fame e dalla povertà,ma che nello stesso tempo ci schiavizza,gli stessi bimbi parlano e si esprimono come se il loro cervello fosse stato sostuito dalle schede elettroniche.
Luigi Arista dovrebbe leggere Il Giudizio Estetico di Kant,che ,pur essendo vissuto nel settecento,è molto moderno.Prima di scrivere ho cercato, invano, il libro del filosofo per riportare le sue parole ,ma ho trovato soltanto “La storia del pensiero filosofico “(A.V.ED.SEI),id cui a pag.379 si legge:”Studiando la natura del giudizio estetico,Kant si contrappone anzitutto a coloro che considerano il bello,sia di natura sia di arte,come una semplice impressione di piacere,legata a un interesse biologico e variabile da soggetto a soggetto .Il bello è infatti un sentimento di piacere che ha pretesa di universalità.”il bello è rappresentato come l’oggetto di un piacere universale” “il bello è l’oggetto di un piacere disinteressato” D’altro lato,il giudizio estetico,pur implicando universalità e finalità,non si fonda né sulla corrispondenza a uno scopo determinato,né sulla corrispondenza dell’oggetto bello a un concetto”…. Più in particolare ,l’estetica di Kant distingue la bellezza libera,appresa senza la presenza di alcun concetto e bellezza aderente,appresa con riferimento a un particolare concetto(un animale,uomo,paesaggio,ecc.)Importante è inoltre la dottrina kantiana del sublime.Sublime è ciò che è assolutamente grande.Una cosa ci appare sublime solo quando la contemplazione estetica di un oggetto imponente(ad esempio un mare in burrasca)risveglia in noi ,per contrasto con la nostra piccolezza,il senso della grandezza morale,che è grande al di là di ogni comparazione”Nell’apprensione del sublime concorrono quindi sia il sentimento estetico sia il sentimento morale;il sublime si presenta così come indice privilegiato della profonda armonia che sussiste fra mondo della natura e mondo etico della ragione,tanto che il primo può diventare simbolo del secondo.”….(se si legge direttamente il libro di Kant si capisce meglio) Per concludere l’arte deve trasmettere qualcosa di sublime,quando si ascolta una musica ,(come quella che ho allegato),o si vede un quadro,una foto un film(come La vita è bella” di Benigni) e si provano sensazioni che ti scuotono l’anima,questo è il sublime.
Cordialmente Iginia Bianchi -----------------------------------------------------------------------------------------------------------


ELISABETTA
Rispondo alla prima proposta di Iginia Bianchi .Si è vero anche io sono contraria ai plagi, poiché arte è creare,chiunque copia o esegue un plagio non fa arte ed è mediocre,però sono convinta che un vero artista sa creare anche opere stupende con l'uso del computer o delle foto, infatti abbiamo l'arte cinematografica e l'arte fotografica .Chiunque usa queste tecniche lo deve dichiarare.Ho visitato una mostra di una pittrice romana al Vittoriano,di cui non voglio ricordare neanche il nome,che aveva presentato delle enormi tele(m.3x2 e anche più, erano dei poster giganti, presentati come quadri ad olio, noi siamo rimasti sconcertati, erano foto, e non ci sono piaciuti, forse, se la pittrice avesse scritto sotto ogni illustrazione la didascalia giusta, avremmo potuto apprezzare la loro bellezza fotografica, poichè, spesso, le foto sono più belle di un brutto quadro.
Cordialmente Elisabetta -----------------------------------------------------------------------------------------------------------


 LUIGI ARISTA
Siete gentili, vi ringrazio dell'informazione. Il dibattito è sempre molto interessante, può diventare proficuo, quando si hanno delle cose da dire e si ha, però, una vera intenzione di ascoltare. Questo accadde con mio grande piacere quando mi deste la prima risposta e ci scambiammo un altro paio di mail con Maxs. Ora, la signora Iginia Bianchi mi consiglia di leggere Kant perché io possa pervenire alla conoscenza che l'arte è insieme l'espressione e il sentimento del sublime. Credo che ci siano delle ulteriori cose da chiarire, per evitare pericolosi fraintendimenti, e forse quando troverò un po' di tempo per la concentrazione giusta interverrò ancora nel vostro sito. Per ora mi limito a dire che non da Kant ma da ben oltre un millennio prima (per esempio mi riferisco al trattato "Sul Sublime", attribuito dai filologi al retore Cassio Longino, e siamo intorno al 100-150 d.C.) si parla di questa attinenza fra il sublime e l'arte, idea e sentimento estatico di molto superati ai giorni nostri, per fortuna. Era necessario superarli e sono stati superati grazie alla sensibilità e all'intelligenza di grandi artisti e menti rivoluzionarie, che compresero, dopo il '700, quanto l'idea e il sentimento del sublime lasci stagnare nel gioco degli specchi, nel gioco dei riflessi, nell'incantamento e nell'illusione. Perché l'arte in realtà è pura analogia, analogia delle cose che appartengono al totale, ed è la percezione del totale che recano, manifestando le recondite analogie fra le cose del mondo (del creato). Chi resta fermo al sentimento del sublime non può trovare il sentimento del totale, che è la vera realtà del mondo (del creato). Ma qui mi fermo con la dialettica, dubitando di poter chiarire di più in questo momento e dubitando di non potere forse chiarire mai, perché il fiume che tanto spesso traccia le sponde opposte delle incomprensioni è gettato sul terreno dall'imperscrutabile volontà di un sé che desidera sempre vincere la partita. Coi discorsi, proverò in altro modo un altro giorno. Ora, poiché avete a suo tempo visitato i miei due siti e dunque sapete della mia scrittura, provo a spiegarmi con una poesia (è di molti anni fa) che parla di poesia e quindi di arte. Amore, pensiero, poesia O amore, soggezione, bellezza che ci assali e ci perdi, che scomponi nell'acuto dolore dei tuoi incantesimi, o pensiero, altare del nostro sforzo, spasimo che vuoti e annulli il senso della vita immaginando l'essere e il divenire, o poesia, poesia, quando sei libera cosa naviga davanti ai tuoi occhi di marinaio degli immensi oceani che si accampano dall'anima al cielo azzurro?
Grazie e cordiali saluti.
Luigi Arista ________________________________________________________________________________


MAXS FELINFER
Cara signora Iginia, è doveroso da parte mia ringraziare il suo apprezzamento sulla mia opera, ma, come dice il poeta indiano Tagore, "L'elogio mi fa vergonare perché lo mendico silenziosamente". Non voglio con questo commento, intendiamoci, fare un'apologia dell'umiltà, ma parlando di giudizio estetico, avrei un preciso interesse a prendere la dovuta distanza, (anche se, nel manifesto del 1967 ho citato Kant, quando facevo riferimento al relativismo della valenza del linguaggio) per non supportare l'idea della verità in senzo univoco. Ho, nel corso della mia carriera come docente d'arte, come pittore e come performante, incoraggiato l'opzione dell'espressione libera come risorsa inesauribile di conoscenza, per cui, il giudizio estetico ed il senso del sublime come traguardo della creazione artistica, non occupa, secondo il mio postulato, il primo posto nella graduatoria degli interessi dell'arte. Reitero il mio più assoluto rispetto per le strade che ognuno intraprende per raggiungere il suo traguardo, ma per me è importante sostenere quella che ho percorso fino ad oggi, giacché ci credo fermamente. "La perfezione è un mito dettato dai traguardi già raggiunti, il futuro va forgiato con l'allegria della scoperta ed una dose necessaria di audacia."
Cordialmente
Maxs Felinfer -----------------------------------------------------------------------------------------------------------


IGINIA BIANCHI replica
Caro signor Maxs, l’arte e il sublime sono sempre esistiti, Cassio Longino, Kant, Schopenhauer e tanti altri li hanno fatti propri,scrivendoci interessantissimi libri di filosofia,quindi sono concetti che non possono essere annullati o considerati superati,sono eterni,noi dobbiamo renderli moderni e proiettarli nel futuro.Ieri ho visto la mostra del Futurismo alle Scuderie del Quirinale a Roma ,e sono rimasta colpita dalla grandiosità di alcune opere,non si possono definire belle,sarebbe troppo mediocre,l’unico termine che possa rendere l’idea della loro grandezza ed eternità è SUBLIMI. Il sublime è libertà e sensibilità, Arte è sinonimo di sensibilità , ,come dimostrato anche dalla poesia di Luigi Arista:Cos’è la sensibilità?E innata oppure sono le circostanze della vita ,che rendono l’individuo sensibile o indifferente? Ecco una poesia di un mio alunno di dodici anni,scritta in classe ,quindi assolutamente sua (Il ragazzo aveva perso il padre da poco)
L’albero
E’ fermo,immobile, il vento non osa neanche sfiorarlo,
E’ esile il suo tronco,
sta per arrivare anche per lui la fine,
poiché ogni essere vivente,
non riesce a ribellarsi alla legge imperscrutabile del fato.
L’inverno è ormai alle porte.
Gli iniziano a cadere le foglie,
come ad un vecchio cadono i capelli,
è ormai quasi spoglio, a guardarlo fa tenerezza.
Nel frattempo viene sommerso
Da una leggera coltre di nebbia, che scende,
scende nella penombra di un tramonto senza fine.
(Stefano Orselli) ...........................................................

Cordialmente Iginia ------------------------------------------------------------------------------------------------------------


MAXS FELINFER
Cara signora Iginia
Mi piacerebbe, sempre che in così poche righe questo sia possibile, fare luce su ciò che ho detto e su ciò che non è stato detto da me. Perciò, su quella parte del suo contributo su cui no mi sono espresso verrà, sicuramente, argomentato da chi si sia trovato in disaccordo con Lei. In nessun momento ho messo in dubbio l'esistenza del sublime o del giudizio estetico che fanno dell'Arte, ciò che conosciamo ciò di cui stiamo parlando. Non ho assolutamente accennato al superamento o annullamento di tali principi sui quali, come Lei ben dice, la storia dell'arte e la filosofia si sono occupate per così lungo tempo da stabilire tali principi come punti di riferimento sui quali fare leva nell'analisi di qualsiasi dibattito riferito all'oggetto arte. Quello che ribadisco, invece, è la libertà di rivalutare l'espressione umana, poiché di questo si tratta, con una graduatoria diversa. Per farlo, datosi che è stato il punto di partenza di questa discussione, ripartiamo da Kant, quando nell'analisi che questo grande filosofo affronta, nel trattare la problematica del "nulla", si pone il problema che in partenza, nell'immaginario collettivo, la parola "nulla" era già carica di significato, del significato collettivo del "oggetto" "mancanza di ogni cosa". Pertanto prima di analizzare il nulla privo di ogni contaminazione, si rendeva necessario creare un nuovo termine, senza connotati per arrivare, così, ad una conclusione valida. Ecco, il senso del mio commento, basato anche sul fatto che il giudizio estetico, la comprensione della bellezza, il sublime, la comprensione della perfetta proporzionalità dell soggetto armonico, hanno connotazioni che condizionano la libera espressione dell'uomo. Quando, negli anni sessanta, creai il Seblismo, mettevo in campo la assoluta convinzione che non bisognava combattere i mulini a vento degli accademicismi per quello che essi rappresentano, ma intraprendere la creazione di spazi più adatti alla natura espressiva dell'uomo originario che abita in noi. Per questo motivo cognai all'epoca la frase "L'Arte è solo un'espressione dell'uomo. Qualsiasi altra pretesa è solo vanità." Per questo motivo all'epoca, appena finiti i miei studi e con una carica di contraddizioni non indifferente, avendo davanti l'invasione del POP e il dilagare del Happening, dettai le regole per questo nuovo spazio e dissi: "OK, se considerate che quello che facciamo non è arte, e non è avanguardia, allora noi facciamo Seblie". A questo punto diventa opportuno rapportare il discorso all'argomento che lei ha proposto nel suo commento sulle "pseudo-opere". Non si deve pensare che libera espressione, cosa che il seblismo mette alla base della sua proposta, sia sinonimo di qualunquismo, no, tutto il contrario. Il seblismo induce alla responsabilizzazione dell'individuo sensibile a dare il meglio di sé stesso, ad essere autentico e avere la consapevolezza che nell'atto di lasciare testimonianza dei suoi contenuti, unici, e patrimonio della comunità, deve attingere a tutta I'esperienza maturata nel travaglio di concepire quei contenuti. Crescita interiore, possiamo chiamarla, anche se pure questo sia diventato un luogo comune, utilizzato anche da chi fa quel tipo di lavoro "criticabile". Nel portare a termine questa impressa è valido tutto ciò che ci permette di raggiungere la materializzazione di quel proposito straordinario di segnare il mondo con la nostra identità più profonda. Questo è trascendente, questo è il principio più alto della creazione, giacché a partire dall'egocentrismo primigenio, che sostiene e alimenta l'esistenza, lanciamo un segnale che ci fa presenti nel tutto. Noi siamo parte dell'universo e anche noi facciamo la nostra parte. Qui possiamo parlare del sublime come atto supremo dell'armonia che esalta la piccola, misera condizione dell'uomo, di fronte alla grandezza della creazione, perfino del proprio atto creativo. Come frenare il vortice che si verifica nel momento di "essere", nell'atto creativo, dovendo soffermarci nelle considerazioni di Diderot votato ad un senso così alto della armonia che basterebbe mostrare una delle dita di un piede di un uomo per sapere che si tratta di un gobbo? Cara Iginia, è probabile che ciò che ho espresso sia contrastante con il mio modo di dipingere, possiamo dire, basato sulla conoscenza del mestiere, ma è il principio quello che conta. Io non posso fare altrimenti perché sono stato introdotto nell'ambito pittorico a 6 anni e non ho mai smesso fino ad oggi, ma non è questo che mi qualifica artista, oppure sensibile o addirittura amante dell'espressione artistica, bensì il rispetto totale del contenuto umano, l'ammirazione per ogni atto creativo e tutto ciò che comporta, compreso quello dei "veri" cultori della concezione classica di questo mondo fantastico al quale abbiamo dedicato la vita. Non mi piace essere semplicemente contro, perché l'esperienza mi ha insegnato che molte delle "porcherie", come tante che ho visto nella mia vita, possono essere parte di un'evoluzione che più tardi ci stupisce con i suoi risultati. Poi resta dire che preferisco tollerare le "porcherie" che certi artisti presentano in attesa di trovare la propria strada che altre porcherie che accadono intorno al mondo dell'arte. Sarebbe interessante portare Leonardo ad una mostra di Braque, Picasso o Kandinsky per ascoltare sicuramente, le stesse parole odierne che rivolgiamo alle esperienze degli artisti contemporanei. Vogliamo dimenticare che l'Impressionismo venne definito "assassinio dell'arte"? Secondo me, e in questo sì bisogna essere inflessibili, si deve ripudiare l'arte fatta secondo le esigenze del mercato, l'arte promossa da galleristi che hanno sbagliato qualche lettera del loro mestiere trasformando "il mecenate" in "il mercenario", l'artefatta senza nessun valore perche è svuotata dall'uomo. Questo va ripudiato senza remore e senza timore di sbagliare giudizio. Non lo so, probabilmente quello che Lei ha visto in quella galleria era una di quelle porcherie, ma nel senso generale del tema che stiamo trattando è bene capire le differenze. Per me, e per questo motivo mi sono permesso di portare la discussione su questo campo, l'arte è uno strumento di grande valore per l'umanità per limitarlo solo a uno dei suoi aspetti, che secondo me no è il più importante. L'arte, ottimo veicolo espressivo, ci fornisce un lucido specchio nel quale vedere riflessa la nostra interiorità, permettendoci, così, di crescere.
Con affetto e rispetto
Maxs Felinfer (La poesia allegata è senza dubbio straordinaria)
P.S. Ritengo opportuno chiedervi scuse per qualsiasi incongruenza letteraria giacché l'italiano non è la mia lingua madre. _________________________________________________________________________________


SERGIO SANTILI
Caro Maxs
Intervento sul dibattito presente nel vostro sito (riguardo le pseudo-opere) che ha aperto la signora Iginia Bianchi.
Ho speso del tempo a leggere e rileggere le sue argomentazioni e tutta la discussione che ne è nata in seguito. Ho pensato a lungo su come poter ribattere a certe considerazioni. Mentre facevo alcune riflessioni mi sono imbattuto nel tuo ultimo intervento e sono rimasto colpito dal fatto che sei riuscito per certi versi ad esprimere quello che io stavo cercando di raccogliere dentro di me per poter dare una risposta a certi quesiti. La prima cosa che risalta ai miei occhi è "l'accanimento" verso queste pseudo-opere che naturalmente si sono solo potute intuire dalla descrizione della stessa. Io penso che ognuno di noi ha un proprio bagaglio di conoscenze emozioni, storie personali etc. e che non tutti gli occhi per questo sono uguali o guardano le cose con la stessa interpretazione. Se un pittore espone i suoi lavori in una mostra penso che sappia di andare incontro a giudizi differenti ,a feroci critiche o a beatificazioni. Per me ci si dovrebbe soffermare solo ed esclusivamente verso ciò che si vede e che si sente di una determinata opera altrimenti si rischia di uscire fuori strada, fuori dal vero significato della stessa opera che magari per chi l'ha fatta rappresenta qualcosa. Conosco persone che fanno opere lavorando sopra foto o stampe digitali.Personalmente a me non piacciono molto ma non per questo vado a fare una denuncia ai carabinieri. Dietro tutto quello che si cercaffannosamente di spiegare dell' arte credo ci sia un concetto semplicissimo che riguarda la "libertà di espressione".Sembra una cosa talmente semplice che a volte non ci accorgiamo di quanto, specialmente ai nostri giorni, sia una cosa molto importante e non facile da ottenere. Ogni giorno devo stare attento a quello che dico e a come lo dico, alle mie azioni e alle conseguenze di ciò che faccio, ma è solo quando mi trovo nell'atto di disegnare che posso veramente sentirmi libero di dare sfogo a tutto quello che mi passa per la testa. Per la mia esperienza personale (e solo di quella posso parlare) dico che se mi soffermo a pensare a cosa deve piacere o non piacere di un quadro posso stare sei settimane davanti alla tela bianca senza riuscire a metterci sopra nemmeno un puntino. non sarei più io a fare il quadro ma bensi io guidato da altri fattori che riuscirebbero ad offuscare la sottilissima linea che guida la mia mano all'atto di dipingere. Non credo che per le opere ci possa essere un giudizio oggettivo e universale di bello o brutto. Ogni immagine può evocare in chi la guarda pensieri e sensazioni e non necessariamente dev'essere spiegata e codificata con teorie e richiami filosofici........il bello dell'arte dovrebbe essere che non esiste il bello nell'arte ma solo la considerazione personale di ciò che è bello per ognuno di noi, tutto il resto mi sembra che fa parte di logiche di mercato che non condivido affatto Per quello che ho visto e sentito finadesso sembra che si cerca di inserire l'arte dentro contesti e regole preimpostate, a volte ho l'impressione che un pittore sia bravo o meno in base a quali conoscenze ha o a quali comportamenti e regole segue. Trovo tutto questo sbagliato in quanto per me arte vuol dire nulla, vuol dire ....................., non vuole dire, non si tocca e non si spiega, è invisibile come l'anima, senza compromessi,illusione di libertà anche solo per pochi minuti, godimento e indifferenza, tutto quello che ci circonda e tutto quello che sta anche e specialmente al di fuori della cornice. Non so se sono riuscito ad esprimermi correttamente, o se abbia detto un mare di cazzate, in quanto per come sono tendo sempre a fuggire da certi discorsi che non fanno parte delle mie conoscenze (praticamente nulle in questo contesto).Vorrei spiegarmi meglio ma temo di non riuscire in quanto non ho mai capito perchè disegno, non lo so e non lo voglio sapere, lo faccio fino a quando mi sentirò spinto da mestesso a farlo. -----------------------------------------------------------------------------------------------------------


IGINIA BIANCHI
Caro signor Maxs. con la sua ultima dissertazione lei conferma il giudizio che avevo formulato. Sono d’accordo su tutti i concetti da lei esposti la penso esattamente anche io così, forse non sono stata abbastanza chiara. Per ciò che concerne le pseudo-opere mi riferivo esattamente a ciò che lei ha esposto molto meglio di me nell’ultima parte del discorso, l’artefatta, solo per lucro, molto diffusa, spesso anche le mostre collettive sono organizzate con lo stesso scopo,(tassa d’iscrizione,di partecipazione,senza controllare neanche le opere che vengono inviate) Sono convinta che bisogna parlarne molto per sensibilizzare il popolo. Quando insegnavo,portavo sempre i ragazzi a visitare gallerie e musei;mi ricordo che ,(tanti anni fa) nella Galleria degli A…c’erano delle signore con piccole scrivanie che vendevano delle miniature,e,per convincere il turista che fossero dipinte a mano,davano qualche pseudo –ritocco con il pennello,fu mio dovere farlo notare agli studenti che le stavano già comperando:Per fortuna che ora non ci sono più.
Cordialmente
Iginia Bianchi
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10 giugno 2009 3 10 /06 /giugno /2009 17:21

E' finito il campionato di calcio e si è aperto il cosiddetto "calciomercato".
Così ogni giorno, sui telegornali e sui giornali stampati, ci raccontano che il giocatore Tizio sarà venduto alla tale squadra per 70 milioni di euro, e che quell'altra squadra ha comprato il giocatore Caio per 30 milioni di euro, ed altre amenità del genere.
Non m'interessa, qui, discutere della provenienza di tutti quei soldi (tra l'altro in tempi di crisi come quello che viviamo). In questo blog ci occupiamo di arte, quindi non farò riferimento neanche a tutte le cose necessarie per la sopravvivenza di tante persone che si potrebbero fare con solo una parte di quei soldi.
La mia riflessione è:

visto che

noi, come Gruppo Seblie, e tanti altri disseminati in tutta Ialia, abbiamo progetti in ambito artistico e culturale che mirano ad arricchire spiritualmente le persone, ad educare i bambini ed i giovani per farli crescere meglio, più liberi e più consapevoli della loro vita e delle loro potenzialità, e dobbiamo eternamente rinunciarci perché non si riesce a trovare i fondi (che non arrivano mai a cifre con più di tre zeri) né da enti pubblici né da finanziatori privati,

non sarebbe possibile evitare di divulgare quelle notizie di cui sopra?

Non parlo mica di censurare (odio questa parola e ciò che significa), ma di avere un po' di decenza.
Non è educato contare bistecche davanti ad un affamato.

O sbaglio?

Patricia V.

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9 giugno 2009 2 09 /06 /giugno /2009 17:25
 Fermate questa giostra! E ora di finirla con l’eterna storia delle cose fatte perché la volontà popolare lo richiede. E’ ora di scendere. E’ ora di cominciare a chiamare le cose con il loro vero nome. Televisione fatta a misura degli utenti, ci vogliono far credere. Giornali scritti per consumatori omogeneizzati, tipo latte a lunga conservazione che non sa di latte, che consumano notizie omogeneizzate. Riviste stracolme di banalità su gente VIP che salta di letto in letto o che detta moda su una passerella davanti ad un pubblico con stipendi per sole tre settimane. Programmi dove chi ha più cause e processi in corso ha più cose da dire e per tanto più spazio a disposizione. Telegiornali senza via d’uscita poiché composti dal sessanta per cento di cronaca nera, venti per cento de politici che fanno la loro campagna elettorale e veline che annunciano i loro nuovi show e, con molta fortuna, di un dieci per cento, si, un dieci per cento d’informazione utile all’utente. Il resto e composto da testata, saluti e pubblicità più o meno occulta.
Fermate la giostra, gli spazi “informativi” devono essere al servizio “dell’interesse generale”, per la gente, per la volontà popolare sulla quale tanto si fa leva quando si vendono la televisione, i giornali, le riviste, e tutto il resto. Ricordiamoci: tutto ciò è pagato in gran parte dal popolo, si, pagato con denaro, con tempo, sforzo, sacrificio, tramite sovvenzioni statali che potrebbero, invece, essere destinate ad altre priorità (l’educazioni di nostri figli, la sanità per dirne alcune). Basta di guardare “l’audience” per decidere cosa passare in TV, cosa scrivere sui giornali; provate ad abituare la gente alle cose che le giovano in vece d’insistere nel inganno con cui la invocate come a tacchini per i vostri interessi. Qualcuno a fatto la prova di portare avanti un programma di analisi dell’interesse popolare a partire dalle scuole, dalle fabbriche, dai servizi pubblici in modo di capire quali sono le cose che preoccupano le persone, di cosa vorrebbero sentir parlare, quali problematiche affrontare con il contributo di chi opera in ogni settore? Avete provato qualche volta consultare le moltitudini per individuare i veri bisogni dell’uomo attuale? E’ ora di finirla con la informazione omologata al servizio della politica o l’economia o peggio ancora i principi faziosi di certe elite. E’ ora di domandarsi cosa fare, dubitare, se necessario, sulla strada d’intraprendere e ripartire con una alternativa a questo sistema che si rivelato fallimentare.
Fermate questa giostra! Presto sarà fuori controllo.
                                                                                                    di Maxs Felinfer 
 
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9 giugno 2009 2 09 /06 /giugno /2009 17:19
Ci sono molti modi per definire l'arte, in nome della quale si potrebbe aprire un lungo dibattito intriso di paroloni e concetti subliminali che, inevitabilmente, porterebbero a perdere di vista la sua vera natura, l'obiettivo primario per il quale si è evoluta nel corso dei secoli. Mi piace intenderla come un sentimento puro che sgorga dal cuore, pertanto meritevole di essere valorizzata come elemento iniziatico che fa di ogni essere umano un artista, senza nulla togliere ai grandi nomi del passato e del presente. E qui mi sembra già di sentire la voce dell'amico Maxs che sussurra al mio orecchio e grida a gran voce al mondo "altre pretese sono solo vanità". Parole? No, molto di più. Perché Maxs Felinfer non si limita solo a porre l'accento sul fatto che la sensibilizzazione umana migliora la salute della società, ma va ben oltre con una sola parola che racchiude un universo di emozioni e sensazioni:Seblismo. Una parola tanto graziosa, quanto priva di significato, che dà il nome al movimento artistico da lui creato negli anni Sessanta con il nobile scopo di conferire una nuova libertà all'arte, ponendola non al di sopra dell'uomo ma al servizio dell'uomo stesso come strumento per rispondere al suo bisogno di espressione e comunicazione. Da qui la nascita spontanea dello straordinario Gruppo Seblie che, pur avvalendosi di recitazione e musica, non può essere definito una compagnia teatrale né un gruppo musicale, ma un insieme di persone che realizzano performances dove il pubblico diventa parte integrante dell'evento stesso grazie alla collaborazione di musicisti, poeti, fotografi, operatori video, attori, ballerine, pittori, pronti a interagire l'uno con la creatività dell'altro dando vita a performance di grande impatto visivo e profonde suggestioni metaforiche. "Ho sempre sentito la necessità di coinvolgere la gente nei miei lavori.L'arte è un fenomeno di comunicazione straordinario che permette di conoscere nuovi aspetti della personalità umana" mi ha detto Maxs durante un'intervista, sottolineando che la performance alla quale è più legato è "Sonicolor" del '78, presso la pinacoteca di San Paolo del Brasile, perchè da quel momento ha acquisito una grande fiducia in se stesso. Mi è venuto spontaneo il riferimento all'intervista per una sorta di deformazione professionale, ma una cosa è certa: ogni volta che ho seguito, scritto e raccontato di Maxs e Patricia (per me sono un duo inscindibile) l'ho sempre fatto andando oltre la curiosità tipica del giornalista ma con la consapevolezza di andare incontro a qualcosa di straordinario. Affinità elettive a parte, la loro arte si è riflessa su di me e questo mi ha dato una maggiore sicurezza aprendo orizzonti culturali che mai avrei creduto di esplorare. Sembrerà strano ma una performance del Gruppo Seblie è un dono che resta, ha la peculiarità di materializzare l'astratto, è una metafora di vita che non si chiude quando cala il sipario. Anzi, è da lì che inizia se non le fai resistenza e le permetti di tirare fuori la consapevolezza che c'Ë qualcosa che possiamo ancora fare se ci poniamo nella giusta disposizione d'animo nei confronti di questo ìgiocoî dove tutti sono parte integrante. " un po' il caso di ìProva di Tangoî, straordinaria performance che presenta il ballo argentino per eccellenza non solo come danza ma anche come fenomeno culturale con la sua storia, i suoi personaggi, le caratteristiche legate all'ambiente. Ma anche di ìQuadri - Istantanee di un raccontoî in occasione della prima edizione della Biennale Adriatica di Arti Nuove al Palacongressi, che in soli 19 minuti è riuscita a toccare l'anima di un pubblico che ha interagito diventando cuore pulsante di un'azione in cui l'arte ha assunto le sembianze di comunicazione umana. Guidati da Maxs Felinfer, i protagonisti hanno dato vita a una serie di "fermo immagini" viventi scandite da parole, pannelli dipinti, diapositive, musica, preceduti dal ticchettio di una vecchia macchina da scrivere e una telecamera che ha interagito con gli spettatori proiettando alle pareti i loro volti assorti. In un'atmosfera resa ancora più intensa dal buio e dal testo di Annalisa Piergallini letto da Patricia Mònica Vena e Paola Cinì, i corpi sinuosi di Monica Gabrielli, Vincenzo Lopardo, Roberta Lucianetti e Annalisa Piergallini, hanno dato vita a un racconto "silenzioso" sospeso su diverse strutture metalliche. Il tutto amplificato da coloratissime proiezioni, un lungo nastro che ha circondato i presenti e l'uso di uno strumento che emula le sonorità del theremin cambiando altezza e colore del suono in base alla modifica del campo magnetico effettuata dal movimento degli arti. "L'arte nasce dalle persone, si evolve, poi si stacca per creare una nuova forma e tornare alla gente per essere reinterpretata" spiega Felinfer "Il nastro che ha avvolto i presenti simboleggia la comunicazione esistente tra uomo e artista, perché l'arte stimola emozioni e non fa male, anzi protegge". Altra concezione molto cara al Seblismo è l'idea che su ogni materiale di qualunque forma Ë possibile esprimere arte, restituendo la propria dignit‡ anche agli oggetti pi? umili. Da qui nasce una suggestiva performance ispirata alla mostra ìTraMeî del pittore ascolano Lucio Alfonzi, dove il Gruppo Seblie utilizzando gli elementi fondamentali su cui l'artista ha lavorato (spago, oggetti riciclati e aspetto gestuale), li ha rielaborati in un percorso minimalista che passa dall'espressione corporea allo spazio sonoro come musica dell'anima, attraverso l'uso di strumenti ricavati dal tamburo di una lavatrice, il cerchione di una macchina, cassette, pentole, barattoli da caffè, utensili vari e persino una conchiglia marina. Perché in un'epoca in cui la gente comincia ad essere "buttata", è doveroso ridare il giusto valore a oggetti che spesso finiscono nel secchio della spazzatura. Che altro aggiungere? Le performance e le partecipazioni prestigiose del Gruppo Seblie sono tante ma, in questa mia elecubrazione mentale su carta, ho preferito descrivere l'aspetto appercettivo del loro mondo interiore. Un mondo che non è poi lontano dal nostro, se soltanto ci soffermassimo di più ad ascoltare la voce della nostra anima.
                                                                                                                       di Rosita Spinozzi
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8 giugno 2009 1 08 /06 /giugno /2009 16:19

In tempi in cui vediamo crollare certezze, spegnersi sogni, tremare strutture che sembravano eternamente solide, forse dovremmo cercare salvezze inedite. E forse dovremmo cercarle non più nei soliti posti. Dovremmo cercarle altrove. Altrove può voler dire tanti posti diversi. Ognuno di noi potrà scegliersene uno. Poi, magari, se quello non funziona, provarne un altro. In queste righe vorrei, semplicemente, segnalarvi uno di quei luoghi: l’Arte. L’arte come salvezza. A me suona bene. Non più l’arte come luogo di ermetici intellettualismi, riservati a gruppi di persone “conoscitrici” della materia, circoli piuttosto ridotti, e piuttosto esclusivi. E neanche come luogo di diletto, di attività per il tempo libero, dedicato a chi, avendo un animo sensibile sceglie di occupare quella parte del suo tempo che non è consacrata al lavoro ed ai doveri, a tentare di scopiazzare la realtà tramite pennelli e colori. L’arte come salvezza è l’arte che funge da tubo di scappamento, da valvola che permette di fuoriuscire la pressione in eccesso evitando così l’esplosione. L’arte come salvezza significa sfruttare una capacità che ogni essere umano possiede per dire, o per URLARE, o al limite per domandare, tutte quelle parole, parolacce e domande che ci si stringono in gola e non escono mai, tante volte perché non hanno nemmeno una forma definita, ma dentro di noi ci sono eccome. “Una capacità che ogni essere umano possiede”. Cosa può voler dire? Mica tutti siamo artisti, direte voi. E invece sì. Almeno quando arte significa linguaggio. Siete d’accordo che chiunque è in grado di rovesciare barattoli di colori, rimescolarli con le mani, o con un pennello, o una spatola, uno straccio, un pettine vecchio o qualsiasi altro oggetto si trovi nei paraggi? Anche se ciò che viene fuori non è un paesaggio, una natura morta, un ritratto, né alcuna immagine riconoscibile? Siete d’accordo che chiunque può cantare, anche se è terribilmente stonato? Siete d’accordo che chiunque è capace di prendere tra le mani un pezzo di argilla e di ammassarlo, schiacciarlo, modellarlo, anche se il risultato non è La Pietà di Michelangelo? Bene, se avete risposto SI a tutte le domande, allora state accettando che ogni essere umano è in grado di esprimersi attraverso i mezzi descritti. E quindi sta utilizzando un linguaggio. Arte. Se riusciamo davvero a tornare a riprenderci la libertà di fare quelle cose (che da bambini facevamo allegramente) troveremo una via di sfogo per molte delle piccole e grandi frustrazioni che ogni giorno ci provocano un nodo in gola e un buco nello stomaco. E soprattutto, impareremo a comunicare con gli altri in un modo nuovo, e forse riusciremo a capirci di più. Quando le parole che si dicono ogni giorno, a casa, al lavoro, a scuola, dal macellaio, dal panettiere, in TV, nei giornali, non significano più niente e non ci bastano più per dire tutto quel che ci succede dentro, è ora di cercare linguaggi nuovi.
                                                                                                                           Patricia Vena

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7 giugno 2009 7 07 /06 /giugno /2009 09:22
Credo che scriverò un’altro libro. Sì, un altro libro da macero, il che, oggi, è un pregio. Sì, oggi che l’industria editoriale è votata alla produzione massiva di libri scritti da calciatori, presentatori televisivi, politici, modelle, veline ed eroi dei reality, scrivere un libro che venderà un centinaio di copie per poi finire al macero, con l’obiettivo di riciclare la carta, è, senza dubbio, un pregio. Per essere più esatto nella descrizione dell’avventura, dobbiamo dire che si tratta di cento o duecento copie vendute nelle librerie amiche, giornalai, e nel rapporto diretto con le persone. Per dire tutta la verità, la cosa che preoccupa di più, a chi ancora lotta per migliorare la società in cui vive, non è il fatto che gli occhi del denaro siano puntati su questo filone, bensì che una così larga fetta del mercato di lettori acquisti questo tipo di prodotto. Non è che mi senta incoraggiato da questa penosa realtà a ritentare ancora di pubblicare un altro libro, ma ciò che mi spinge a farlo è la consapevolezza che quello che prima sembrava una disfatta, alla luce degli eventi appena menzionati diventa il raggiungimento di un’ obbiettivo valido. Probabilmente se le migliaia di titoli che finiscono per diventare una pasta bianca, avessero tutti insieme l’uno per cento dello spazio televisivo, radiofonico, giornalistico in genere, che ognuno di questi “best seller” ottengono, verrebbero a galla delle proposte che rifletterebbero, sicuramente, in maniera molto più fedele, la realtà in cui viviamo, lanciate da gente che ha veramente qualcosa da dire. Con tutto ciò non voglio affermare che si tratti, in tutti i casi, di personaggi senza nulla da dire, ma che siano diventati gli unici in grado di parlare della contemporaneità mi sembra eccessivo. Avete sicuramente sentito dire più volte, “è quello che la gente vuole”. Sono convinto che questa è l’ennesima bufala, e ne sono convinto perché con la gente ci lavoro, con la gente convivo e perché anch’io sono la gente.
                                                          Maxs Felinfer
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5 giugno 2009 5 05 /06 /giugno /2009 19:03

Ciao a tutti.

Questo è il blog di Seblie, uno spazio in cui potremo dialogare, scambiare, condividere, raccontare, tutto ciò che abbia a che fare con i nostri interessi artistici e culturali.

Ho deciso di iniziare gli articoli di questo blog raccontando un’esperienza che abbiamo vissuto Maxs e io qualche giorno fa.

Datosi che fino ad oggi si era in piena campagna elettorale, settimana scorsa abbiamo ricevuto una telefonata con la quale una delle liste che si presentano alle elezioni per l’amministrazione comunale di Monteprandone ci invitava, in quanto rappresentanti di un’associazione con sede in questo comune, a partecipare ad un’incontro, insieme a tutte le associazioni del territorio, nel quale si sarebbe parlato delle proposte della lista in questione nei confronti dei bisogni e dei progetti dell’associazionismo.

Abbiamo ringraziato per l’invito e, il giorno stabilito, ci siamo recati nel luogo in cui si teneva l’incontro.

Prima di iniziare ci siamo presentati ad alcuni degli organizzatori della serata, spiegando che, in quanto associazione culturale che da 8 anni ha sede a Monteprandone, eravamo contenti di essere stati invitati, per essere ascoltati e per poter dialogare sui nostri progetti con coloro che, forse, avrebbero da lì a poco amministrato il comune. Abbiamo anche aggiunto che in precedenti occasioni, durante incontri simili con le autorità comunali che si sono succedute in questi anni, siamo sempre rimasti piuttosto delusi dal fatto che, quando si parla di associazioni, sembra essere sottinteso che si tratti esclusivamente di argomenti relativi allo sport, alla gastronomia ed alle diverse festività religiose che si celebrano in città. Non che non rispettiamo l’interesse dei cittadini verso tali argomenti, ma ci piacerebbe che anche altri aspetti, di tipo culturale ed artistico contemporaneo, venissero presi in considerazione.

Quelle due o tre persone con cui stavamo dialogando si sono mostrate molto d’accordo con noi, e noi ci siamo scambiati sguardi di conforto e compiacimento.

Poco dopo è arrivata la candidata sindaco ed è iniziato l’incontro vero e proprio.

Prima ha preso la parola la candidata, com’è giusto, ed ha parlato per circa un quarto d’ora illustrando il loro programma elettorale, sottolineando l’interesse della sua lista ad appoggiare l’associazionismo in tutte le sue forme.

Poi ha parlato uno degli integranti della lista spiegando quali erano le loro proposte per quanto riguarda il campo di calcio della squadra locale, la pista di atletica che realizzeranno intorno ad esso, ed i nuovi spogliatoi.

Poi ha passato la parola ad un collega che ha presentato il progetto di costruire una nuova pista di pattinaggio. A seguire si è parlato di: la nuova piscina comunale, il bisogno di pensare ad una struttura sportiva polivalente, il vecchio campo di calcio abbandonato che è un vero peccato, l’importanza dello sport per i ragazzi, la società di pallavolo,…

Era passata quasi un’ora dall’inizio dell’incontro.

Ad un certo punto ha ripreso la parola la candidata sindaco ed ha pronunciato la parola “cultura”. Ho aperto bene le orecchie e mi sono disposta ad ascoltare le idee di queste persone al riguardo:

-         ho sentito nominare una decina di volte San Giacomo della Marca, il santo di Monteprandone al quale sono intitolate molte festività del comune;

-         ho sentito parlare dell’importanza di preservare le tradizioni della città;

-         ho sentito parlare della processione del Cristo Morto, che si realizza ogni venerdì santo a Centobuchi;

-         ho sentito parlare della mostra dei presepi a Monteprandone

l’intero argomento cultura ha occupato, in tutto, una decina di minuti.

 

Mentre partiva l’ennesima illustrazione del posto privilegiato che occupa lo sport nello sviluppo dei giovani e quindi dell’importanza che questa lista ha intenzione di dedicargli, Maxs e io ci siamo alzati (erano passate le 11 di sera e avevamo lavorato tutto il giorno) abbiamo salutato, spiegando che avevamo capito di essere fuori posto, poiché ci occupiamo di arte e quello era un incontro sportivo, e ci siamo incamminati verso l’uscita.

Qualcuno dal tavolo dei relatori (una delle persone che avevamo conosciuto al nostro arrivo) ha chiamato Maxs, nel tentativo di farci rimanere, e gli ha chiesto di spiegare a tutti i presenti quali sono le nostre attività come associazione, cioè di ripetere ciò che avevamo detto prima dell’inizio dell’incontro.

Maxs si è girato e ha detto poche parole: “noi, attraverso l’arte, lavoriamo con la gente per la gente, perché siamo convinti che l’arte sia un ottimo veicolo per comunicare, per esprimersi, per crescere, per essere liberi…tutto qui. Buonasera a tutti”.

Mi ha raggiunto vicino alla porta e siamo usciti alla notte calda e appiccicaticcia d’inizio estate a Centobuchi.

Che tristezza, ragazzi!

E il peggio è che forse non hanno neanche capito perché ce ne siamo andati!

 

Spero che questo spazio possa servire a non farci sentire mai più come mi sono sentita quella notte.

Voi che ne dite? J

 

Patricia V.

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5 marzo 2009 4 05 /03 /marzo /2009 19:08

In questo spazio potremo discutere tutti gli argomenti legati al nostro interesse principale: l'Arte, le sue forme, i suoi principi, e quant'altro ci verrà in mente di proporre su questo tema.
Siete tutti invitati a partecipare.

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